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10 febbraio 2022

L’alimentazione nella preistoria

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Che cosa mangiava l’uomo preistorico? Quali gli alimenti principali e quante le varietà? Cosa c’è alla base del cerimoniale che circonda il cibo, la sua preparazione il significato conviviale e le funzioni sociali del cibo? Un viaggio nella Preistoria per capire lo sviluppo della civiltà anche attraverso le scelte alimentari.

L’alimentazione nella Preistoria. La Paleo-diet, un regime alimentare… “saporito”

Olive saporite in salamoia, frutti di mare, zuppa fredda di mandorle, cosciotto di cervo e di cinghiale arrostiti allo spiedo, accompagnate da gallette di avena e un contorno di lenticchie insaporite al lardo. Il tutto, volendo, leggermente inebriato da una bevanda fermentata al gusto di ginepro.

No… questa non è la cena dell’uomo preistorico, ma un esempio di Paleo-diet, un regime che negli ultimi anni ha fatto molta tendenza, ispirato…liberamente… all’alimentazione dei nostri antenati. 😊

Ma iniziamo il nostro viaggio che, attraverso diversi articoli, ripercorrerà la storia dell’alimentazione partendo da questo che è un breve excursus sulle “preferenze gastronomiche” dei nostri predecessori preistorici.

L’alimentazione della preistoria: le fonti

Come è possibile conoscere di cosa si nutrivano i nostri precursori durante la Preistoria? Sappiamo che questo è un orizzonte impervio perché i resti sono pochi, tutto sommato, e non esistono fonti scritte né orali.

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Per questo periodo che precede la storia, sono le fonti materiali a sostenere le ricerche degli studiosi. In particolare, le informazioni sull'alimentazione sono state ricavate principalmente dall'analisi di feci fossilizzate, chiamate coproliti. L’analisi delle ossa, inoltre, ha permesso di individuare abbastanza verosimilmente il periodo e la composizione alimentare della nutrizione dei nostri predecessori.

Questi dati sono stati infine completati e implementati dallo studio delle abitudini alimentari delle popolazioni indigene ancora viventi.

L’alimentazione della Preistoria. L’opportunismo alla base della sopravvivenza

Ormai da diversi decenni è aperto il dibattito sulle dominanti alimentari dei primi ominidi: l'Australopiteco, l'Homo habilis, poi l'Homo erectus.  Erano cacciatori o mangiatori di carogne? Prevalentemente carnivori o onnivori?

L’ipotesi che fino a questo momento pare essere quella più attestata è che, all'origine, l'uomo abbia praticato una caccia attiva con gli strumenti che aveva a disposizione (bastoni, pietre), approfittando, quando si offriva la possibilità, anche delle prede uccise da altri predatori. Una “tecnica mista”, dunque.

Prima di imparare l’utilizzo di strumenti specifici per cacciare, il nostro antenato deve essere stato un grande opportunista. Cominciò da subito a scavare la terra con le mani, poi con pietre appuntite, per estrarre radici e tuberi di tutti i tipi. 

Raccoglieva frutti e bacche che imparò ad individuare come commestibili; e poi le uova, piccoli invertebrati e in generale animali di piccola taglia facilmente catturabili, come molluschi, tartarughe e piccoli mammiferi.

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L’alimentazione della preistoria. L’uomo, un animale onnivoro

Dunque, possiamo immaginare una prima alimentazione in cui la carne ha un ruolo primario? Era veramente così dominante nelle abitudini degli ominidi?

Sicuramente era il piatto principale, tuttavia non dobbiamo trascurare il ruolo dei vegetali. Proprio così, anche nel Paleolitico, gli uomini hanno abbondantemente integrato l’alimentazione proteica con cibi di natura vegetale

Una cosa sembra essere certa: gli uomini sono stati onnivori fin dalla loro prima comparsa. Naturalmente la loro vocazione per una nutrizione prevalentemente vegetariana o carnivora ha attraversato fasi altalenanti in relazione all'epoca e alla “cultura” che piano piano si affacciava sulle desolate terre dei primi tempi. D’altra parte, già prima dell'apparizione degli ominidi, esistevano primati onnivori. 

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L’alimentazione nella Preistoria: il cibo lungo la linea evolutiva dell’uomo

Ma cerchiamo di seguire le tracce dei primi uomini per scoprire di cosa si alimentassero nelle diverse epoche mentre trascorrevano le grandi ere.

Il nostro antenato più antico

Partiamo dall’Homo habilis, che è il più antico antenato del genere Homo. Sappiamo tutti che è stato denominato così perché sono stati trovati degli utensili primitivi risalenti alla sua presenza, e anche che molto probabilmente è comparso in Africa due milioni di anni fa.

Oltre ad una capacità cranica ancora maggiore rispetto agli australopitechi, l’Homo Habilis presentava anche molari più piccoli, il volto meno prominente, più alto, con braccia più lunghe, gambe più corte e la sua corporatura era simile a quella delle scimmie.

Dai resti sappiamo che utilizzava utensili primitivi per uccidere e squartare le carcasse di animali. Questo fa supporre che l’Homo habilis abbia sviluppato capacità più strutturate per raccogliere il cibo.

La sua dieta era prevalentemente costituita da carne, ma anche frutta e vegetali. Per quanto riguarda il procacciamento del cibo gli studiosi oramai propendono per una tecnica mista.

La grande trasformazione dell’Homo erectus

Tuttavia, sarà con l’Homo erectus, primo ominide comparso due milioni di anni fa, che si assiste alla grande trasformazione nella linea evolutiva. Il suo cervello cresce ancora di volume, il cranio si fa più arrotondato, il viso più piatto, i denti più piccoli ed è molto più alto del suo predecessore.

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La sua corporatura e il maggior volume cerebrale gli consentirono di compiere attività che prima gli erano precluse, come costruire primi insediamenti, cacciare in modo sistematico, accendere il fuoco e produrre i primi utensili di pietra.

Specialmente in Europa, dal paleolitico inferiore, la caccia e il consumo delle carni acquisiscono un ruolo sempre più importante. Soprattutto la caccia d'incontro, che porta l’uomo a sfidare grossi animali come orsi, rinoceronti, elefanti. 

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Nel paleolitico superiore, invece, prende sviluppo una caccia specializzata ai branchi di renne, di cavalli, di bisonti, di uri o di mammut, come testimoniano i dipinti rupestri. Naturalmente il tipo di animale cacciato variava a seconda delle regioni e delle risorse locali.

È con il riscaldamento del clima europeo, che l'uomo del mesolitico deve rassegnarsi a cacciare animali molto più piccoli, come cervi, cinghiali, piccoli carnivori da pelo, lepri, uccelli e anche lumache. In questo periodo prosegue e si accentua la sua attività rivolta alla pesca e alla raccolta, che hanno sempre seguito l’attività dell’uomo.

Con la rivoluzione neolitica e con le prime civiltà, il ruolo della caccia si è sempre più ridotto e ridimensionato per lasciare il posto all'addomesticazione e all’allevamento del bestiame come bovini, ovini, caprini, suini. 

L’addomesticazione: allevamento e agricoltura

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È proprio tra 1200 e 7500 a.C. che avvenne l’“addomesticazione”, cioè la coltivazione delle piante e l’allevamento degli animali. Sembra che la grande rivoluzione, la svolta più significativa nel campo dell’alimentazione, e quindi dell’economia, sia partita dalle regioni orientali, quelle che ora corrispondono all’Anatolia sud-orientale, alla Siria, a Israele, e alla Palestina: territori in cui i cacciatori addomesticarono il maiale, la capra, la pecora, i bovini.

Nello stesso periodo cominciarono le prime coltivazioni strutturate di prodotti agricoli.

Secondo un recente studio, l'agricoltura si è sviluppata 20-22.000 anni fa in modo indipendente in almeno una decina di luoghi della terra: dagli altopiani della Nuova Guinea, all'America centrale e al Medio Oriente.

A differenza dei cacciatori, per gli agricoltori preistorici avere molti figli significava disporre di nuove braccia per dissodare, arare, seminare e raccogliere.

Anche per questo la diffusione dell’agricoltura portò ad un forte e costante aumento delle nascite, e quindi alla crescita di villaggi stanziali sempre più estesi.

In queste prime società agricole le prime piante coltivate furono le stesse già presenti allo stato selvatico ma di più facile coltivazione. Ci riferiamo principalmente ai legumi, ai tuberi e tra i cereali, soprattutto orzo e grano.

Crudo o cotto? L’importanza di cucinare il cibo

Ora sai di cosa si nutrisse l’uomo preistorico, ma ti sei mai chiesto come preparasse il suo cibo? Quando comincia a “cucinare” gli alimenti? La “gastronomia” degli uomini primitivi è un aspetto che è sempre stato trascurato. Perfino i grandi antropologi Charles Darwin o Claude Levi-Strauss hanno sorvolato sulla questione. Un aspetto considerato di poca importanza, relegato ai margini della storia.

Ma poco più di una decina di anni fa l’antropologo di Harvard, Richard Wrangham, suggerisce forse per la prima volta, che il segreto dell'evoluzione dei nostri progenitori sarebbe proprio quello di aver imparato a cucinare.

Una teoria inedita e certamente rivoluzionaria che portò all’espressione «the cooking hypothesis», l’ipotesi culinaria, espressa nel libro dell’antropologo, dal titolo, “Catching fire: How cooking made us human”. 

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In questa opera, Wrangham, docente di antropologia biologica della più prestigiosa università americana, afferma che la scoperta del fuoco e la conseguente intuizione che il cibo avvicinato alle fiamme migliorasse sapore e qualità, abbiano avuto effetti decisivi sull'evoluzione dell’uomo.

L’evoluzione dell’uomo intorno al fuoco

Non è solo una questione di gusto e di igiene, si tratta di una questione biologica. Sappiamo tutti che sia le carni che i vegetali, una volta cotti, sono molto più facili da digerire rispetto a quelli crudi. Ma non tutti sanno che l’energia risparmiata nella digestione venne recuperata dall'organismo dei primi ominidi e trasferita al cervello.

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Questo ha favorito un aumento di volume e un miglioramento della capacità intellettuale. Scrive anche l’antropologo: «Quest’energia in più ha dato ai primi cuochi significativi vantaggi biologici che li aiutarono a riprodursi meglio di prima, moltiplicando i propri geni».

L’angelo del focolare

Nasce così l’abitudine di consumare i pasti attorno al fuoco, abitudine che favorirà la socializzazione dei nostri antenati tra loro. Questo aspetto deve aver anche contribuito a temperare la loro natura tendenzialmente aggressiva.

L’effetto collaterale? È proprio da questo momento che la donna, volente o nolente, viene assimilata al ruolo, di “angelo del focolare”. Una condanna? Dipende dai punti di vista…😊

Comunque, per la sua minor forza fisica, la donna era meno adatta allo scontro con animali di grossa taglia e, quindi, a cacciare. Da questo momento, dunque, le donne furono probabilmente destinate alla cottura dei cibi, un’attività stanziale che richiedeva tempo e cura, anche per il mantenimento del fuoco.

Viaggio dentro le “cucine” preistoriche

Non sono molti gli studiosi che hanno avuto l’ardire di immaginare un vero e proprio viaggio dentro alle “cucine” preistoriche. Studiando la composizione delle ossa dei primi ominidi, la loro dentatura, le misure e i batteri ritrovati, Stephanie Schnorr, docente dell'Università di Leiden nei Paesi Bassi, ha cercato di ricostruire i loro gusti e le loro abitudini alimentari anche in termini di preparazione dei cibi. Lo ha fatto in modo appassionato e appassionante e, negli ultimi anni, è arrivata ad un’ipotesi molto accreditata di come potessero essere le tecniche di cottura preistoriche.

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Gli amidi e la loro gelatinizzazione

L’avvincente e rivoluzionario studio di Stephanie Schnorr, che è stato pubblicato su Science Daily, è il risultato dell’osservazione della dieta quotidiana degli Hadza da cui arriva la conferma che sulle “tavole” preistoriche arrivavano ogni giorno tuberi e radici ricchi di fibre, per garantire l’energia per la sopravvivenza.

Si trattava di tuberi che potevano essere consumati crudi o arrostiti. Ma c’è di più! Gli Hadza avevano scoperto, già in età preistorica, quale fosse il modo migliore per trasformare questi semplici e primari tuberi, in una pietanza gustosa e con la giusta consistenza. Con il tempo hanno anche compreso quale fosse il grado di cottura ideale per ottenerne i maggiori benefici nutritivi.

Gli Hadza riuscirono, infatti, ad innescare il processo di “gelatinizzazione” degli amidi contenuti nei tuberi arrostiti, solo portando la temperatura alla giusta gradazione e raggiungendo il perfetto grado di cottura.

Ogni cuoco sa che questo processo è fondamentale per le preparazioni di pane, pasta, riso e prodotti di pasticceria. È infatti in grado di garantire, la digeribilità degli alimenti che contengono amidi, attivando gli enzimi digestivi.

Pensare che questa sia una scoperta risalente ai tempi delle cucine preistoriche, be’…fa un certo effetto!

Il tempo della cottura: quel “saper attendere” che porta gusto e benefico

Sempre il popolo degli Hadza ha avuto modo di ragionare sui tempi di cottura delle tante radici cotte e consumate nel corso della storia. Radici che, nonostante fossero cibi non tossici anche da crudi, preferivano gustare arrostite per un tempo pari a 20 minuti di cottura.

 

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Avevano infatti scoperto il tempo perfetto per ogni preparazione in cucina, e non solo per una questione di gusto. Compresero che valeva la pena attendere oltre il tempo in cui l’alimento fosse già pronto, per gustare al meglio un piatto, proprio come accade oggi.

Tutta la bontà delle zuppe

Altri studiosi si sono interrogati sulle modalità di cottura dei cibi nel corso del Paleolitico, e sui recipienti usati per conservare al meglio il sapore e la temperatura.

Da questi studi emerge che le carni per lo più venivano cotte, arrostite e affumicate, all'interno di buchi nel terreno in cui venivano poste le braci. Sempre nello stesso periodo si iniziarono ad usare i primi contenitori termici e recipienti per contenere il cibo e in particolare…le zuppe!

Sembra che semi e radici venissero bolliti per poi triturarli e trasformarli in saporite minestre che venivano gustate all'interno di contenitori creati con le cortecce degli alberi.

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Alcune tribù di cacciatori usavano anche delle “pentole” primitive, ricavate da sacche create con i resti degli animali cacciati. Nello stesso periodo comparvero anche i primi contenitori di ceramica. Intanto, le tecniche di cottura si affinarono e, già 14mila anni fa, erano molto simili a quelle che usiamo noi, ora.

Poi finalmente nel Neolitico, dunque a circa 8mila anni prima di Cristo, nelle “cucine” dei nostri predecessori comparvero vere e proprie tecniche molto simili alle nostre abitudini attuali. Lo sapevi che le modalità di utilizzo del sale per conservare le carni e quella della vinificazione risalgono proprio a periodo?

Una questione di civiltà e cultura

Certo non è facile immaginare l’uomo immerso in un tempo primordiale ancora lontano dalle rassicurazioni della storia. Animali e piante over-size intorno a lui e tanti pericoli.

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Alcuni celebri film ci hanno aiutato a orientarci tra le ipotesi formulate, per creare i connotati di una mappa di paesaggio primitivo, nella nostra mente.

Tra dubbi, ipotesi e ricostruzioni, una cosa è certa, il bisogno di procacciarsi il cibo ha accompagnato l’uomo nella sua origine, quello di cucinarlo, nella sua evoluzione.

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Ultimo aggiornamento 10 febbraio 2022