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16 gennaio 2024

L’alimentazione nel Medioevo: alla scoperta di un vero e proprio linguaggio alimentare

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Continua il nostro viaggio attraverso la storia dell’alimentazione in Europa: in questo articolo il cibo e i comportamenti alimentari diventano la chiave magica per aprire le porte del passato, dal III secolo d.C. fino alle soglie del Rinascimento. Immaginati un'epoca in cui la formazione della civiltà europea ha dato vita a un linguaggio alimentare comune, a una cultura del cibo che ha intrecciato nodi di produzione e consumo condivisi da popoli di ogni angolo del continente.

L’incontro-scontro tra mondo “romano” e “barbarico”: la trasformazione della società e dell’alimentazione tra pane e carne

Nel contesto medievale, l'alimentazione svolgeva un ruolo centrale, influenzando la salute e la società. In questo articolo cercheremo di esplorare le complesse dinamiche alimentari dell'epoca, analizzando le fonti storiche per comprendere le abitudini alimentari, le restrizioni dietetiche e le pratiche culinarie. Preparati a scoprire dettagli affascinanti, come l'uso di spezie esotiche, le credenze legate agli alimenti e l'impatto sociale della tavola.

Già dal III-IV secolo, mentre il mondo "romano" e quello "barbarico" si scontravano, assistiamo a una trasformazione straordinaria. Ciò che è iniziato come uno scontro tra la civiltà del pane e quella della carne si trasforma in un affascinante processo di reciproca assimilazione. Un complesso intreccio di usanze alimentari prende forma, guidato dalla diffusione della religione cristiana.

Siamo testimoni di un periodo in cui il cibo diventa il collante che unisce le diverse anime dell'Europa antica, dove ogni boccone racconta una storia di convergenza culturale e di influenze reciproche. Ci immergeremo in una nuova avventura culinaria che ci svelerà i segreti della formazione della civiltà europea. Un viaggio che si nutre di storia, cultura e sapori che hanno plasmato il nostro passato e continuano a farlo ancora oggi.

Dimentichiamoci delle antiche rivalità etniche, ora si tratta di un confronto tra il mondo della povertà e dell'umiltà con quello della ricchezza e del potere: una vera e propria battaglia tra fame e abbondanza.

Le vicende che si dipanano in questo dramma alimentare sono intessute di simbolismo profondo che illumina le molteplici contraddizioni, artefici dei nostri comportamenti quotidiani. Un affresco ricco di sfumature che continua a influenzare la nostra esistenza, attraverso in un intricato labirinto di significati.

Attraverso queste dualità scopriremo come le sfide e le tensioni, tra bisogno e opulenza, abbiano plasmato le dinamiche sociali ed economiche nel corso dei secoli: in questo percorso, fame e abbondanza si scontrano in una danza senza fine che lascia il segno nei nostri gesti di ogni giorno. 

Le diverse abitudini alimentari nella varietà ambientale e sociale

Data l’estensione temporale del periodo medievale, nonché la varietà delle situazioni sociali ed ambientali, risulta senz’altro complesso generalizzare le consuetudini alimentari. 

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Si tratta di un'epoca in cui la distinzione tra la mensa dei ricchi e quella dei poveri non era tanto segnata dalla qualità quanto dalla quantità. Tra varietà di risorse, eventi storici e le restrizioni del calendario liturgico, l'alimentazione si plasmava in modo diverso per chi deteneva il potere e per chi lottava per sbarcare il lunario.

La spaccatura sociale tra le mense inizia durante l'epoca carolingia, quando i disboscamenti per aumentare le terre coltivabili ridussero le foreste riservate ai potenti. La selvaggina diventò un privilegio delle mense dei signori, mentre i contadini potevano contare al massimo sugli animali da cortile.

Il divario si accentuò durante l'epoca comunale, con le città che sviluppavano un gusto culinario diverso da quello contadino; mentre il Rinascimento portò un tocco di raffinatezza e complessità, riservato principalmente ai più facoltosi.

Ma non era solo una questione di ricchezza o povertà; il clima e l'ambiente giocavano un ruolo fondamentale. Nell'Europa nordica, la dieta era centrata sulla carne, mentre nell'area mediterranea dominava il consumo di cereali.

Questi regimi alimentari resistettero al passare dei secoli, rimanendo sostanzialmente immutati fino al Seicento. Fu in quel periodo che le tavole europee iniziarono a trasformarsi gradualmente, con l'introduzione di alimenti provenienti dall'America: patate, pomodori e mais.

Preparati a degustare le sfumature di un'epoca in cui il cibo rifletteva le dinamiche sociali, le influenze ambientali e l'evoluzione dei gusti. 

Il cuore dell’alimentazione medievale: le preparazioni a base di cereali

Nel lungo periodo medievale i sapori dell'antica Roma si fusero con le prescrizioni della Chiesa e le tradizioni dei popoli germanici, plasmando una cucina che avrebbe lasciato il suo segno nei secoli successivi.

I cereali svolgevano un ruolo centrale nell'alimentazione, soprattutto tra i poveri dall'XI secolo in poi, beneficiando dell'aumento della produzione dovuto all'espansione delle terre coltivate e al miglioramento delle tecniche agricole. Oltre al grano, al farro, all'orzo e alla spelta, si consumavano "grani minuti" come miglio, panìco e sorgo.

Solo alla fine del Basso Medioevo, furono introdotte segale e avena. Il riso, originario dell'Estremo Oriente, giunse in Europa dopo le conquiste di Alessandro Magno e Roma. Con i cereali, oltre al pane, venivano preparati polente, paste, torte e focacce.

Pane e cereali

Le preparazioni a base di cereali, in particolare il pane, costituivano il cuore dell'alimentazione quotidiana sia per i ceti più umili che per i signori. Dopo il Mille, il pane, sia lievitato che non, assunse un ruolo cruciale nella dieta popolare. Questo cambio di centralità coincise con la "privatizzazione" delle foreste, la crescente coltivazione di cereali, l'espansione demografica e lo sviluppo urbano. Da quel momento, il pane divenne il sostentamento fondamentale, tanto che il termine companatico indica ciò che si consuma con il pane.

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Oltre al grano, il pane veniva preparato utilizzando altri cereali come orzo, miglio, panìco, segale e avena, insieme a legumi come fave e ceci. Le castagne, definite l'albero del pane, rivestivano un ruolo vitale nell'approvvigionamento alimentare dei contadini più poveri, specialmente nelle regioni pedemontane.

L'umanista e medico Michele Savonarola descrive tre tipi di pane fatti con il frumento, basati sulla quantità di crusca e sulla loro digeribilità. Il primo, preparato con il fiore del frumento, è equilibrato e ricco, adatto a principi e grandi maestri. Il secondo, con molta crusca, è pesante da digerire e destinato a stomaci forti, talvolta chiamato “pane per i cani”. Il terzo, con poca crusca, è destinato alla gente comune, più difficile da digerire del primo ma meno del secondo.

L'importanza del pane emergeva durante carestie e guerre, diventando l'unico alimento disponibile per gran parte della popolazione. In questi periodi critici, il pane veniva preparato utilizzando ingredienti come ghiande, lupini, fave, radici, erbe selvatiche e addirittura mescolando la farina con la terra o addirittura argilla. Proprio così: Rodolfo il Glabro, un monaco del 1033, racconta di un esperimento in cui alcune persone per sfamarsi durante la carestia, mischiavano una sabbia bianca simile all'argilla con farina e crusca per creare pagnotte.

La pasta

E la pasta, su cui si basa gran parte della nostra dieta mediterranea? Nella Magna Grecia, il termine makaria o makaronia indicava un cibo simile agli attuali gnocchi, offerto nelle cerimonie funebri. Successivamente furono chiamati maccaruni o maccaroni, derivati da maccare, che significa ammaccare o impastare. 

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Il cuoco Bartolomeo Scappi, attivo nel Cinquecento presso la corte papale, menziona i “maccaroni, detti gnocchi”, realizzati con farina e mollica di pane, da lessare e condire con salsa di aglio. Le referenze a questo tipo di pasta si trovano anche nelle novelle del Decameron di Boccaccio, in cui si narra di un immaginario paese del Bengodi con una montagna di formaggio parmigiano grattugiato, dove le persone facevano maccheroni e ravioli, cucinandoli in brodo di capponi.

La pasta ripiena

Il riferimento ai ravioli nella novella di Boccaccio suggerisce la diffusione delle paste ripiene, la cui tradizione si diffuse in Italia ed Europa grazie alla cultura araba.

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Invece, la menzione degli spaghetti sembra risalire al XII secolo, quando il geografo Idrisi, a Palermo parlò di itrya, una pasta filiforme, già prodotta su scala industriale e spedita in varie parti del Mediterraneo.

Il termine “spaghetti" potrebbe derivare dalla definizione di Maestro Martino, celebre cuoco del Quattrocento, che li chiamò “macharoni siciliani” nel suo Libro de arte coquinaria, descrivendoli “sottili come uno spago". La leggenda di Marco Polo che introdusse gli spaghetti dall'Oriente non trova riscontri nei suoi scritti, poiché menziona solo “lasagne e altri tipi di pasta” già noti in Italia.

Le preprarazioni più "nobili": le carni

La varietà dei cibi medievali era sorprendentemente simile a quella che conosciamo oggi. Oltre a prodotti derivati dai cereali, è nella selezione delle carni che la tavola medievale si distingueva.

Le carni più gettonate erano quelle di maiale e cinghiale, seguite da bovino e pecora. La carne ovina era particolarmente apprezzata nelle regioni ricche di prati, mentre altrove veniva considerata più utile la produzione di latte e formaggi. La capra, una volta tenuta in alta considerazione per il latte e il pellame nell'epoca romana, vide la sua importanza declinare, mentre il coniglio divenne un piatto ampiamente cucinato.

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Ma ciò che dominava la scena era la carne di maiale e cinghiale. La loro versatilità le rendeva perfette per la preparazione di insaccati, noti come salumen (da cui il termine "salumi"). Prosciutto, salame, pancetta, salsicce, cotechino e zampone erano protagonisti dell'arte salumiera, arricchiti con grani di pepe per una conservazione prolungata, una pratica che ancor oggi ritroviamo in alcuni insaccati come il salame e la mortadella.

In un'epoca in cui la conservazione dei cibi era una sfida, gli artigiani salumieri si dedicavano a creare capolavori di sapori e aromi, lasciando un'eredità gastronomica che abbiamo ancora il piacere di gustare.

Sempre nel Libro de arte coquinaria del Maestro Martino, possiamo scoprire la ricetta della cottura del Prosciutto con acqua, vino e aceto, indispensabile per il gusto e per la sua conservazione. 

Il pollame e la selvaggina

Nel Medioevo il pollame domestico, come galline, capponi, faraone, anatre, oche e tacchini, costituiva un elemento essenziale dell'alimentazione contadina, poiché poteva essere allevato autonomamente. La carne pregiata del pavone, invece, era riservata alle preparazioni gastronomiche destinate ai grandi signori, che apprezzavano anche la sua presenza decorativa nei giardini.

Altro discorso valeva per la selvaggina per la quale si entra in una dimensione simbolica complessa e molto antica.

Lo spiega molto bene il celebre storico medievista Massimo Montanari. Nella sua opera, I racconti della tavola, ci spiega come la passione per la caccia, nel passato, non fosse solo legata al piacere culinario, ma fungesse anche da esibizione del valore guerriero. Consumare selvaggina rappresentava un rito di classe che celebrava la forza del guerriero-cacciatore, capace di procurarsi il cibo attraverso una pratica virile e spesso violenta come la caccia.

La cacciagione, ricca di energia, alimentava il corpo del guerriero, consentendogli di continuare la pratica della caccia e dimostrare il proprio valore in guerra. Eginardo, biografo di Carlo Magno, sottolinea questo legame nel ricordare che l'imperatore non mancava mai di gustare arrosti di selvaggina nei pranzi quotidiani, evidenziando non solo una preferenza personale, ma la piena conformità a questa ritualistica connessione tra caccia, cibo e valore guerriero.Inizio modulo

La selvaggina abbondava sulle tavole degli aristocratici, appassionati cacciatori di cervi, cinghiali e uccelli nei loro boschi privati. Questa pratica escludeva i contadini, privati sia della cacciagione che dei frutti selvatici e delle erbe spontanee. La cacciagione, e la carne in generale, diventarono così un simbolo di privilegio sociale riservato alla nobiltà.

Il pesce

Per quanto riguarda il pesce, durante il Medioevo, si prediligeva quello di acqua dolce pescato nei fiumi, laghi e lagune. 

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Al contrario, il pesce di mare era meno comune nelle mense medievali rispetto all'epoca romana, soprattutto perché non era più utilizzato per preparare il garum, un condimento popolare simile all'attuale colatura di alici.

I formaggi e le uova

Nel Medioevo il formaggio era guardato con sospetto dalla medicina che ne consigliava un consumo limitato. Secondo la Scuola medica salernitana, il cacio era considerato benefico se consumato con parsimonia, legato all'alimentazione dei pastori e dei contadini e trascurato dai palati più raffinati fino al Cinquecento, quando entrò a far parte dei cibi di corte.

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L'arte casearia vera e propria si sviluppò tra il XII e il XIII secolo nei conventi, con la produzione di formaggi come il grana, il montasio e la mozzarella, creati rispettivamente nei monasteri di Chiaravalle, Moggio Udinese e San Lorenzo di Capua. Altri formaggi diffusi includevano ricotta, provola e marzolino toscano, predecessore del pecorino.

Oltre ai formaggi, le uova erano un elemento fondamentale nella dieta medievale. Consumate abbondantemente dai contadini, le uova compensavano la carenza di proteine della carne sulle loro tavole e venivano impiegate nella preparazione di pasta, dolci, torte salate e salse.

Legumi, ortaggi ed erbe aromatiche

Passiamo al variegato mondo delle verdure, alimenti fondamentali in un’economia che poteva divenire molto povera ed essenziale per la grande massa di contadini, come accadde soprattutto dopo il 1000, quando le zone boschive e paludose, non sono più accessibili a tutti perché diventano riserve signorili. Anche durante le peggiori carestie, qualche erba, legume, ortaggio era sempre reperibile nei piccoli orti dei contadini e degli ordini monastici.

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Tra gli alimenti vegetali, i legumi, come ceci, fave e fagioli dolici (Dolichos melanophthalmus), occupavano un posto di rilievo nell'alimentazione medievale. Va notato che i fagioli consumati oggi sono di origine americana e arrivarono solo nel Cinquecento. Meno diffuse, ma comunque utilizzate sia a fini alimentari che come foraggio, erano le cicerchie e le vecce.

Nel Basso Medioevo, la coltivazione dei piselli divenne comune, poiché potevano essere facilmente conservati attraverso l'essiccazione, divenendo così una risorsa preziosa per le mense dei poveri, mentre i ceti sociali più alti guardavano con sospetto ai legumi, associandoli alle fastidiose flatulenze e alla dieta rustica dei contadini.

Gli ortaggi offrivano una vasta gamma di scelte, tra cui lattughe, radicchi, cavoli, rape, cardi, cicoria, cetrioli, zucche, carote, pastinache, cipolle, porri, scalogno, sedano, malva, finocchi, barbabietole e aglio. Spinaci, melanzane e carciofi, di origine medio-orientale, si diffusero in Europa dall'Italia del Sud e dalla Spagna, durante la dominazione araba.

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Nella cucina medievale, le erbe aromatiche erano ampiamente utilizzate per insaporire i cibi. Conosciute anche come officinali per le loro proprietà curative, erano ben note alla medicina dell'epoca.

Il Capitulare de villis, una serie di leggi promulgate da Carlo Magno tra il 770 e l'813, stabiliva la coltivazione di numerose erbe aromatiche come salvia, ruta, rosmarino, prezzemolo, cumino, menta, dragoncello, anice, aneto, calendula, coriandolo, cerfoglio, bardana, fieno greco, camomilla, papavero

La frutta

Nel Medioevo, la limitata disponibilità di terreni incolti per i ceti più poveri ridusse anche la presenza di frutti selvatici nella loro dieta, poiché la coltivazione degli alberi da frutta non era molto diffusa. L'accesso alla frutta rimase quindi un privilegio delle classi sociali più elevate.

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Ancora Il Capitulare de villis, indicava gli alberi da frutta che dovevano essere coltivati nei terreni dell'impero, tra cui meli cotogni, noccioli, mandorli, gelsi, lauri, pini, fichi, noci, ciliegi di vari tipi, melograni, prugne, e uva per la produzione di vino.

Gli agrumi come limoni, cedri e arance amare, introdotti dagli Arabi dall'indo-cinese, erano consumati principalmente nell'Europa del Sud, ma erano presenti anche al Nord, soprattutto sulle tavole dei ricchi a causa del loro elevato costo di importazione.

Le arance (dal persiano nāranğ) dolci divennero note solo alla fine del XV secolo, probabilmente importate in Europa da commercianti genovesi o veneziani, o da marinai portoghesi. Mentre le fragole, originarie delle zone alpine dell'Europa, già presenti nelle tavole dei Romani, iniziarono a essere coltivate e consumate su larga scala solo nel Cinquecento, poiché prima erano considerate un frutto della tentazione e potenzialmente allergiche.

Per quanto riguarda la frutta secca come pinoli, mandorle, noci e castagne, era ampiamente utilizzata in molte regioni mediterranee, diventando una risorsa alimentare alternativa ai cereali. La frutta veniva spesso essiccata per la conservazione, includendo fichi, uva, mirtilli e more.

Le spezie

Le spezie, preziose merci importate dall'Africa o dall'Oriente, erano utilizzate per insaporire i cibi e, in alcuni casi, mascherare eventuali sapori sgradevoli di alimenti meno freschi. 

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Pepe, cumino, zafferano, zenzero, noce moscata, cannella, chiodi di garofano, curcuma, galanga, coriandolo, cardamomo, cumino, sesamo, dopo un lungo viaggio attraverso mare e terra, giungevano in Europa tramite le città arabe, arricchendo le preparazioni gastronomiche delle classi abbienti. 

I grassi in cucina

Quanto ai grassi utilizzati in cucina, il lardo era il più diffuso in quasi tutta Europa, seguito dallo strutto e dall'olio d'oliva, quest'ultimo prediletto soprattutto nei paesi mediterranei. 

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Il burro cominciò a fare parte della cucina quotidiana verso la fine del Medioevo, quando fu concessa una dispensa speciale che permetteva il suo utilizzo anche durante la Quaresima, periodo in cui erano proibite le carni e gli alimenti di origine animale.

E da bere…? Vino e birra per allietare i pasti

Ma quali bevande venivano sorseggiate a tavola durante il Medioevo?

Le bevande alcoliche occupavano un ruolo significativo, con il vino in prima linea. Dopo un declino sotto il dominio dei Longobardi, la viticultura conobbe una notevole ripresa nel XII secolo, specialmente nell'Italia del Sud con vini come il Greco di Napoli, il Cutrone di Calabria e il Patti di Sicilia. 

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I monaci benedettini contribuirono notevolmente al rilancio del settore, selezionando nuovi vitigni e producendo vini di qualità, soprattutto a partire dal Quattrocento.

L'abitudine di diluire il vino con acqua o mosto cotto aromatizzato con spezie, cadde in disuso grazie al miglioramento della produzione. Si attribuisce ai Celti l'uso di conservare il vino in botti di legno anziché in anfore di argilla, garantendo una maggiore durata e la possibilità di invecchiamento. Nel corso del tempo, le botti divennero sempre più grandi e furono rinforzate con cerchi metallici.

Nel Medioevo, il vino veniva solitamente consumato in coppe di metallo o legno, e non in bicchieri di vetro, che sarebbero diventati comuni solo in epoca moderna.

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Altre bevande alcoliche includevano la birra, diffusa soprattutto nel Nord Europa. Di origini medio-orientali, la birra veniva ottenuta fermentando cereali, inizialmente orzo e dal X secolo, anche con l'aggiunta di luppolo.

La produzione di birra era in gran parte affidata ai monaci nel Medioevo, che ne conoscevano anche le virtù terapeutiche. Frati bavaresi introdussero il metodo di fermentazione detto lager, basato sulla conservazione nelle cantine per una fermentazione più lenta e una maggiore durata del prodotto.

Ma lo sapevi che il tocco finale si deve ad una donna? Proprio così: invece di limitarsi al luppolo, fu una suora di nome Hildegarda di Bingen ad arricchire la birra con una miscela di bacche, cortecce resinose ed erbe aromatiche, tra cui mirto, ginepro e rosmarino. Questa miscela, chiamata gruyt, non solo conferiva alla birra un aroma unico, ma si rivelò anche efficace nel favorirne la conservazione grazie alle proprietà antisettiche delle erbe aggiunte.

In Francia, invece, il sidro era ampiamente diffuso, probabilmente introdotto da Giulio Cesare durante le sue campagne in Gallia. Questa bevanda, ottenuta dalla fermentazione delle mele (e in misura minore anche di pere e ciliegie), era considerata un lusso riservato ai benestanti.

In Inghilterra, al contrario, era più popolare l'idromele.

I Cuochi, oscuri registi in cucina

Siamo abituati a sentir parlare dei cuochi come di vere celebrità non solo in cucina ma, per alcuni di loro, anche nel mondo dello spettacolo. Non era così nel Medioevo… Fino all'Alto Medioevo la figura del cuoco era in secondo piano e priva di rilevanza sociale.

Dall'antica Roma ci è pervenuto il nome di un cuoco, Apicio, autore del primo ricettario della storia, De re coquinaria, che offre un'importante testimonianza sui gusti culinari dell'epoca. Tuttavia, dopo la caduta dell'Impero romano e per molti secoli successivi, non sono giunti sino a noi nomi di cuochi che, evidentemente, rimangono oscuri e sconosciuti registi in cucina.

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Tuttavia, con l'affermazione delle città e delle signorie in Italia, insieme alla costituzione di regni in diverse parti d'Europa, si crearono le condizioni socio-economiche per un crescente raffinamento del gusto e un maggiore interesse per l'arte culinaria…e per i cuochi. Dovrà dunque passare un po’ di tempo per giungere alle vere e proprie star della cucina dei giorni nostri! 😊

Un viaggio tra i sapori e le relazioni

Siamo giunti al termine del nostro viaggio tra i sapori della storia medievale. Esplorare l'alimentazione nel Medioevo ci ha trasportato in un mondo ricco di aromi antichi, credenze intriganti e dinamiche sociali intrecciate. Questo viaggio attraverso le tavole medievali ci ha rivelato non solo le sfide nutrizionali dell'epoca, ma anche l'importanza centrale che il cibo aveva nella vita quotidiana e nelle relazioni sociali.

Le peculiarità culinarie del passato ci invitano a riflettere sul legame profondo tra storia, cultura e gastronomia, suggerendo che, anche nei dettagli più apparentemente banali, possiamo scoprire un ricco tesoro di storie che ci connettono alle nostre radici alimentari.

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Ultimo aggiornamento 16 gennaio 2024