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Lavoro in ortofrutta, il nodo irrisolto della manodopera
Il settore tiene grazie all’organizzazione delle aziende, ma il sistema rischia senza interventi strutturali
Cinque storie di imprenditori che grazie all’innovazione cercano di tenere in piedi il comparto
Tra le sfide più complesse e urgenti per il settore ortofrutticolo italiano, la manodopera resta una delle più critiche. Gli imprenditori, da Nord a Sud, devono fare i conti con una carenza ormai cronica, che sarebbe totale senza il contributo dei lavoratori stranieri. La raccolta e molte operazioni colturali restano attività insostituibili, e la manodopera rappresenta la principale voce di costo per le aziende del comparto.
Per approfondire la questione abbiamo raccolto le testimonianze di alcune realtà imprenditoriali di primo piano lungo la Penisola. Tutte concordano su un punto: nonostante gli sforzi per rendere più dignitoso, sicuro e appetibile il lavoro nei campi, le criticità restano numerose e spesso ricorrenti.

Tra i principali ostacoli segnalati dagli operatori:
- Assenza di strumenti istituzionali efficaci per facilitare l’incontro tra domanda e offerta, in particolare nel lavoro stagionale;
- Burocrazia farraginosa, che complica l’ingaggio dei lavoratori sia per le aziende sia per gli stessi braccianti;
- Norme poco aderenti alla realtà del lavoro agricolo, che richiederebbero un aggiornamento per tenere conto della sua stagionalità e specificità.
Le testimonianze delle aziende

In Lombardia, Francesca Nadalini, vicepresidente dell'OP Sermide Ortofruit, entra subito nel cuore del problema: garantire continuità lavorativa in un settore, come quello ortofrutticolo, segnato dalla forte stagionalità.
«La sfida principale – spiega – è riuscire a garantire ai dipendenti una retribuzione che copra l’intero anno. Per farlo, abbiamo strutturato l’attività su più fronti, dal melone in serra al pieno campo, riuscendo così a coprire almeno otto mesi di lavoro effettivo. A questo si affianca un contratto ad hoc, pensato per offrire maggiore elasticità degli orari in funzione delle attività, spesso condizionate dall’andamento climatico».
Un modello che consente ai lavoratori di raggiungere la piena annualità grazie anche all’indennità di disoccupazione. «Questo, unito a una retribuzione in linea con quanto previsto dalla legge, ci permette di contare su una buona disponibilità di manodopera – aggiunge Nadalini –. In larga parte si tratta di lavoratori stranieri, specialmente per le attività in campo aperto e con molti di loro abbiamo instaurato rapporti duraturi: segno che quando ci sono serietà e collaborazione da entrambe le parti, anche le criticità più complesse si possono affrontare con successo».

Anche Cristiana Furiani, amministratore delegato di Geofur, conferma che la continuità occupazionale è la vera sfida del settore. «L’anguria, coltivata su circa 90 ettari, è uno dei nostri prodotto di punta e ci consente di garantire lavoro durante l’estate. Negli altri mesi ci pensa il radicchio», spiega.
Serietà e rispetto per i lavoratori sono, secondo Furiani, l’altro pilastro del modello Geofur: «Rispettiamo in modo rigoroso tutte le normative e offriamo premi per incentivare ulteriormente. Non abbiamo mai avuto difficoltà a reperire manodopera, anzi, riscontriamo grande fidelizzazione».
Un appello, infine, alle istituzioni: «Servirebbero controlli più serrati per tutelare chi lavora correttamente e più supporto sul fronte burocratico, soprattutto per quanto riguarda la gestione della manodopera straniera».
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In Sardegna, la carenza di manodopera è una costante, e non solo in agricoltura. A denunciarlo è Salvatore Lotta, direttore commerciale di Agricola Campidanese: «Sull’isola la mancanza di lavoratori è cronica e riguarda diversi settori. Noi garantiamo paghe adeguate e buone condizioni, ma il vero problema è la gestione dei flussi: manca completamente una regia».
Lotta sottolinea l’assenza di un sistema organizzato che faccia incontrare domanda e offerta di lavoro, favorisca l’integrazione sociale e preveda soluzioni abitative adeguate per i lavoratori stranieri. «In altri Paesi – conclude – tutto questo è gestito in modo strutturato. Da noi, invece, è lasciato al caso».
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Spostandoci nel Lazio, Roberto Di Pastina, socio produttore di San Lidano, ribadisce l’importanza della continuità occupazionale: «Da ottobre a maggio lavoriamo con le insalate, poi con le angurie fino ad agosto. A settembre restiamo scoperti, ma non è un problema: la manodopera, quasi tutta straniera, approfitta di quel mese per rientrare nei Paesi d’origine».
Grazie a una gestione a turni, San Lidano riesce a garantire almeno otto mesi di lavoro a tutti, completati poi dall’indennità di disoccupazione. «Offrendo condizioni dignitose e retribuzioni corrette, riusciamo a contenere le difficoltà, che comunque non mancano – aggiunge Di Pastina –. La burocrazia per la gestione del personale straniero è lenta e complicata: abbiamo persone dedicate solo a questo, perché basta un errore minimo per trovarsi in difficoltà. Su questo fronte serve un deciso miglioramento”.
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In Puglia, Andrea Dipierro, agronomo e responsabile acquisti e qualità di Frudis, evidenzia una criticità ormai nota: la mancanza di ricambio generazionale sta mettendo a rischio la disponibilità di manodopera nei prossimi anni, con i giovani italiani sempre meno interessati al lavoro nei campi.
L’azienda ha costruito rapporti solidi con lavoratori stranieri, in gran parte dell’Est Europa, che si sono radicati nel territorio e hanno acquisito competenze fondamentali, ma anche in questo caso il ricambio è limitato.
Per Dipierro, la soluzione richiede uno sforzo condiviso tra imprese e istituzioni: garantire condizioni di lavoro dignitose, contratti regolari, alloggi adeguati e una burocrazia più snella sono i pilastri per costruire un sistema agricolo stabile e sostenibile.
Dalle testimonianze raccolte emerge con chiarezza quanto il tema della manodopera resti cruciale per il comparto ortofrutticolo italiano. Gli imprenditori stanno facendo la loro parte, adottando soluzioni concrete per garantire occupazione, dignità e regolarità nei rapporti di lavoro.
Tuttavia, la buona volontà non può bastare. Per evitare che il sistema vada in crisi, è indispensabile un intervento deciso e coordinato da parte delle istituzioni: servono meno ostacoli burocratici, strumenti più efficaci per la gestione del lavoro e un supporto reale a chi, ogni giorno, manda avanti l’agricoltura del Paese.
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La divisione Agricultural Solutions di BASF
Tutto ciò che facciamo lo facciamo per amore dell'agricoltura, un'attività fondamentale per fornire una quantità sufficiente di cibo sano e conveniente a una popolazione in rapida crescita, riducendo al contempo gli impatti ambientali. Ecco perché abbiamo instaurato collaborazioni con partner ed esperti per integrare i criteri di sostenibilità in tutte le decisioni aziendali. Con 944 milioni di euro nel 2023, continuiamo a investire in una solida filiera di ricerca e sviluppo, associando a una mentalità innovativa l'azione pratica sul campo. Le nostre soluzioni sono studiate appositamente per i diversi sistemi di coltura. Unendo sementi e requisiti agronomici, prodotti fitosanitari, strumenti digitali e approcci sostenibili, puntiamo a offrire i migliori risultati possibili ad agricoltori, coltivatori e tutti gli altri soggetti interessati che operano nella filiera. Con i nostri team di laboratorio, quelli attivi sul campo, negli uffici e in produzione, facciamo tutto il possibile per creare un futuro sostenibile per l'agricoltura. Nel 2023 il nostro reparto ha generato vendite per 10,1 miliardi di euro. Per maggiori informazioni, visitate www.agriculture.basf.com o i nostri canali social.
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